Una domenica d’altri tempi

La sveglia suonava con un certo ritardo rispetto agli altri giorni della settimana, ma alle 7,30 tutta la famiglia era in piedi, volente o nolente e dire che i bambini fossero da annoverarsi tra i “volenti” significherebbe mentire in modo spudorato.
Papà e Mamma erano quasi pronti ed ai figli non restava che prepararsi, l’uso voleva che i fratelli vestissero in modo uniforme; le braghe, le camice, i pullover le scarpe erano della stessa foggia e dello stesso colore, cambiava la taglia.
Si rimaneva digiuni e si andava alla Messa.
Lungo la strada si ritrovavano i Nonni e gli Zii, più o meno allegramente le Famiglie raggiungevano la Chiesa.
I più piccoli erano tenuti per mano dai genitori o dai parenti con prese degne di una morsa, quelli più grandicelli contenti di essersi affrancati dalla stretta procedevano ordinatamente sapendo che uno “scatto” avrebbe compromesso la giornata.
Nostra Signora Assunta e Santa Zita, più comunemente Santa Zita, era stata consacrata pochi mesi prima da Sua Eminenza il Cardinale Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova, che ivi aveva trascorso i primi anni di sacerdozio.
Ad assisterlo Don Gianni Malosetti, il Parroco, che da alcuni anni reggeva la Parrocchia avendo raccolto il testimone da Don De Barbieri divenuto Monsignore e Canonico di San Lorenzo.
Il Rito sebbene “Novus” non vedeva il Sacerdote, che allora regolarmente indossava l’abito talare e non un maglione, ergersi a protagonista.
Purtroppo questo uso si sarebbe diffuso dopo; il Rito era austero e tutti, adulti e bambini, si mantenevano composti seguendo attenti la Celebrazione.
Al termine i fedeli uscivano ed il sagrato diveniva un frizzante ma pacato ritrovo dove scambiare quattro chiacchiere, sorridere e rivedersi; le Messe di prima mattina avevano il pregio di non essere frequentate dai “notabili” della Parrocchia che prediligevano far bella mostra della loro virtù un tantino più tardi.
La prima meta della passeggiata era l’edicola, si acquistavano i quotidiani e l’aver per le mani Il Secolo XIX oppure Il Lavoro indicava le differenti simpatie politiche…
I giornali avevano un differente formato erano in genere “broadsheet” e contavano nove colonne, venivano ripiegati e posti nelle tasche della giacca o del cappotto; la terza pagina presentava elzeviri ed approfondimenti a volte sagaci, a volte pomposi e molesti.
Si giungeva finalmente alla “Latteria Bavari” in Piazza Tommaseo per la colazione, dove il “cappuccino con la panna” e la “brioche” costituivano una prelibatezza e significavano la diversità della domenica in confronto agli altri giorni della settimana che prevedevano il pane raffermo tostato accompagnato dalla marmellata alternato ai biscotti del Lagaccio.
Le strade si dividevano: le Madri e le Nonne ritornavano con i bambini a casa e si mettevano di buona lena ad apparecchiare la tavola e a preparare il pranzo, mentre i piccoli ed i meno piccoli potevano giocare con le macchinine, i lego, i soldatini, il meccano; talvolta le Zie, nella bella stagione, acconsentivano di portare i bimbi nei giardini di Piazza Paolo da Novi, dove questi potevano incontrare gli amichetti e le amichette.
I Padri ed i Nonni proseguivano verso la “Pasticceria Stagno” di Corso Torino per ritirare e pagare il consueto cabaret di paste precedentemente ordinato e se i Nonni non tardavano a ritornare sui loro passi e suonare al citofono dove alla consueto “Chi è? rispondevano perentoriamente “Io” senza minimamente pensare di dover dare ulteriori referenze, i Padri si dirigevano in Piazza Alimonda per bere un aperitivo in compagnia al “Bar Lino”, conversando di politica e di sport.
Quest’ultimo punto non comportava particolari divisioni, la fede calcistica della Foce non ammetteva eresie, quelli a righe non esistevano, se si ostinavano al punto di mettere in piedi un circolo e battezzarlo con il nome di un feroce predatore dei mari avendo sprezzo del ridicolo come di consueto, nessuno li filava.
Al ritorno i Padri trovavano i Nonni intenti a raccontare ai nipoti scampoli di vita passata, tramandando le loro esperienze ed i loro ricordi.
Consegnavano, in una immaginaria staffetta, il testimone alle giovani generazioni: la loro infanzia e la loro giovinezza così diverse da quelle che vivevano i figli dei loro figli, la “Grande Guerra”, la loro maturità, il Re ed il Duce, la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti, Badoglio, la Resistenza, l’arrivo degli Americani in una Genova liberata, De Gasperi e Togliatti, la campagna elettorale del 1948 e la Vittoria del 18 Aprile, la Ricostruzione ed il Boom…
Il pranzo della domenica era aureolato di sacralità, le tovaglie erano di fiandra e sulle tavole facevano sfoggio i piatti del servizio buono, i bicchieri di cristallo, le posate d’argento.
Ciascuno aveva il suo posto e si sedeva appena sentiva dire dalla Mamma o dalla Nonna “A tavola, è pronto”.
Apriva la trafila l’antipasto, poteva essere composto da affettati, poteva essere lo “scabeggio” o i “fiori di zucchino in pastella”, nelle giornate migliori era il “cappon magro”.
Seguiva il primo, le “tagliatelle fatte in casa”, o “le lasagne” oppure i “ravioli”.
Il secondo era in genere un arrosto e poteva essere fatto all’inglese ovvero un “roast beef” oppure “stracotto”, in tal caso il sugo condiva le tagliatelle oppure era finito sulle lasagne.
Non mancava mai la “cima” e nelle giornate fredde poteva comparire un grandioso “bollito” accompagnato dalla “verde” e dalla “rossa”.
Il pane era la tradizionale “treccia”
Il contorno era un “preboggion” oppure una “imbrogliata di carciofi”.
Il vino era sempre di pregio, un “Vermentino” per gli antipasti e dopo un robusto “Barbera” d’annata e un bel “ Nebbiolo” oppure un raffinato “Barbaresco” per il proseguimento.
Il finale era offerto dalla “macedonia” e dalle “paste”, accompagnate queste dal “Moscato”.
Le “paste” -bignè, cavolini, sacripantine- erano le più desiderate dai bambini…. che se meritevoli ovvero se a scuola era andato tutto come doveva andare e la domenica non si erano fatti capricci potevano anche avere la possibilità di andare alla partita.
Bastava vedere il Padre sorridere ed ascoltare le parole “andate a lavarvi i denti e prendente il cappotto che andiamo” per scattare come molle, presentarsi intabarrati sventolando una bandiera del Grifone.
Al “campo” si arrivava in autobus o in macchina, i vigili dirigevano il traffico cercando di renderlo fluido e le “bollette” le appioppavano a chi faceva errori marchiani, sui parcheggi della domenica chiudevano un occhio e spesso due…
Il biglietto si acquistava poco prima dell’incontro per i ragazzini che usufruivano del “ridotto”, i più piccoli entravano con il Padre “abbonato”; il “Ferraris” aveva una capienza di cinquantacinquemila spettatori, nelle partite di cartello si ci infilava anche in sessantamila.
Nessuno si è mai fatto del male entrando oppure uscendo, i vip andavano in tribuna e non ambivano ad impianti su misura, se faceva freddo gli adulti acquistavano un paio di mignon di grappa o di amaro, capitava di bagnarsi quando pioveva ma nessuno si sognava di farne una tragedia.
Al termine si ritornava a casa, gettando magari l’occhio sui risultati delle altre partite esposti in bella vista nei bar.
Una volta arrivati i bambini dopo aver fatto una merenda magari a base di pane burro e zucchero filavano dritti a preparare la cartella per il giorno di scuola successivo mentre i Padri seguivano “90° Minuto”…

Contributo di P.A.P. originariamente pubblicato in data 17/10/2009 su grifoni.org