Gasperelli e Prandini sono due bravi allenatori, molto apprezzati dalla critica nazionale, ma per coerenza dovrebbero scambiarsi le desinenze (e secondo i più impulsivi anche le residenze).
Infatti, il vezzeggiativo “elli” dà più l’idea del grazioso e del seducente, e per default il Genoa pratica “il più bel gioco d’Italia”.
Il diminutivo “ini” ha invece un senso più riduttivo e la Viola, fra rigorini, aiutini, goal in zona Cesarini e rapine dei vari Gilardini, si meriterebbe un declassamento.
Questo per il passato, ma adesso si è tutto rovesciato: il Genoa stenta e la Fiorentina vola (a parte ieri), in attesa di un prossimo auspicabile ribaltone.
Noi, per indebolirli, gli abbiamo rifilato Papa Waigo, ma loro hanno parato e risposto alla grande con Vanden Borre e Potenza.
Loro hanno sacrificato Pazzini, Osvaldo, Semioli e Felipe Melo, e noi abbiamo rilanciato con Milito Motta e Ferrari, e ora vedremo chi si è indebolito meno; anzi, chi si è rafforzato di più… come amano raccontare i menestrelli del gotto mezzo pieno.
Gasperini dovrebbe imitare il collega nel mettere i giocatori a proprio agio e nell’adattare la tattica alle risorse disponibili… sì insomma, se ti mancano i colori per fare un quadro, non puoi raccontarci che il giallo sia verde o dipingere un prato con il rosso.
Prandelli invece potrebbe prendere ripetizioni su come si motiva e si organizza un gruppo, come gli si spreme la determinazione e come, a volte, si circuisce la dea bendata, cercando però di ignorare certe fissazioni maniacali.
Probabilmente, assemblando il meglio dei due si otterrebbe un allenatore con i fiocchi: certo che quello a cui resta il peggio di entrambi sarebbe fatalmente esonerato, e non al panettone di Natale, ma già alla pateca di ferragosto.
In fondo però, temo che Gasperelli e Prandini sarebbero come il Sarchiapone e il Minollo, esemplari unici di specie mai esistite.
Mercoledì ci sarà il rendez-vous, e negli ultimi due anni il Gasp non ha mai battuto il Prand.
Arbitrerà Saccani “uno di noi”, che da lupo mannaro si è evoluto in amuleto, vedi gare con Atalanta e Juve.
“A me il Genova un mi garba punto”.
Così dicono a Firenze, ma noi di loro pensiamo cose molto più scurrili.
Il fatto è che, a ogni incontro, ci sono motivi per andare in bestia, e ultimamente capita sempre al Genoa.
L’inizio di questa rivalità ruspante, sempre in bilico fra antagonismo, polemica e antipatia, ha una data ben precisa: 3 giugno 1956.
Come tutti sanno, è l’anno del loro primo scudetto, e si presentarono a Marassi per chiudere imbattuti quel glorioso campionato.
Terminare senza sconfitte è un evento assai raro, e non per caso c’era riuscito il Genoa del 1923: ovvio quindi che l’esame per un simile merito avesse l’obbligo del timbro rossoblu.
Tra l’altro, anche il Grifo aveva un record nel mirino e l’imbattibilità casalinga, specie se a Marassi, ha sempre un fascino particolare: peccato solo per la troppo frequente “battibilità” esterna, che non aveva consentito di migliorare il pur ottimo nono posto.
Il pomeriggio era caldissimo e, soltanto il giorno prima, la città aveva festeggiato il decimo anniversario della Repubblica, che nel 1956 era ancora considerata una conquista civile: oggi invece, c’è chi ne farebbe volentieri a meno, considerandola un fastidioso orpello e una specie di zavorra.
Come una calamita, il Ferraris attraeva tutti i Genoani abili e disponibili, perché l’epilogo della stagione andava salutato con rispetto e la Viola, ormai campione con 12 punti di vantaggio sul Milan, meritava di essere ammirata.
Senza Internet e Tv, c’era anche la curiosità di vedere dal vivo l’asso brasiliano Julinho, per verificare se le cronache di Niccolò Carosio ne avessero descritto correttamente la classe genuina o, al contrario, immaginarie evoluzioni radiofoniche.
La rapsodia delle emozioni comincia al 24° quando Gratton, solo in area, segna a Gandolfi un goal facile e, nella testa della gente, conclusivo.
Il Genoa infatti stenta, e la sua buona volontà cozza contro la maggior tecnica viola, saggiamente organizzata dal Mister Fulvio Bernardini.
L’arbitro Jonni di Macerata, che a Firenze ancora oggi ricordano con disgusto, diviene il protagonista di episodi decisivi.
Al 60° Montuori supera De Angelis e fila verso la porta; il genoano gli si appende ai calzoncini e non li molla, facendosi portare a spasso dall’altro che insiste, e avanza ancora, entra in area, ma impedito dall’oneroso fardello calcia debolmente.
Forse è rigore ma, com’è noto, senza il fischio non se ne fa nulla, e Jonni non è Gava.
Poco dopo tocca al nostro Pestrin essere atterrato in area da Cervato ma l’arbitro, evidentemente esperto in equivalenze e affini, compensa il bilancio e ignora il misfatto.
Quando però al 74° è Chiappella a falciare Carapellese che lo stava ubriacando in slalom, il legittimo penalty arriva per davvero, e le proteste dei Viola sembrano più una formalità da espletare.
A questo punto c’è un piccolo mistero insoluto, e anni di chiacchiere non hanno mai chiarito il perché sul dischetto si sia presentato Gren e non Frizzi, rigorista ufficiale e implacabile: pare che le ragioni derivassero dallo status di ex, ed evidentemente Gren aveva qualche conto da saldare.
Comunque insacca, e diventa difficile capire se l’esultanza per il pareggio sia più intensa sul campo o sugli spalti.
Quel goal agisce come una scintilla e in breve il Genoa comincia a triturare i frastornati avversari.
Lo stadio, finalmente aizzato a dovere, produce il massimo sforzo, e a nessuno viene in mente che la partita sia ininfluente, perché ormai si è trasformata in una questione di prestigio.
Sembra di essere all’inferno, nel girone degli incontentabili, e la bolgia continua a crescere perché dai cancelli, come consuetudine, entrano i Genoani dell’ultimo quarto d’ora (che mai più avrebbero immaginato di godersi un tale spettacolo… gratis) e come affluenti vanno ad alimentare il fiume già impetuoso di suo.
All’80° cross di Delfino, Orzan respinge corto, irrompe Frizzi che con una parabola al volo fulmina Sarti in uscita.
E’ il delirio, e la disperazione dei Viola si colora del suo stesso colore.
Ma non basta: Corso viene espulso ma il Genoa in 10 continua ad attaccare e mette alle corde i campioni, finché al 90° è Carapellese a confezionare il terzo fiocco su quell’indimenticabile pacco dono offerto ai campioni.

Quello stop all’ultima giornata ebbe grande risonanza, e il Calcio Illustrato dell’epoca chiudeva così l’articolo:
“Il Genoa, traboccante di volontà e vigoroso nel corpo a corpo, ha sfoggiato decisione in difesa e pericolosità all’attacco, e il suo gran finale ha entusiasmato e commosso”.
L’allenatore Magli, che resterà 3 anni al Genoa, fu addirittura portato in trionfo dai giocatori, e lo stadio devoto lo osannò come un santone: certe abitudini vengono da lontano, anche se allora non si usava il “santo subito” e si preferiva temporeggiare un po’.
La partita segnò anche la fine dell’avventura in rossoblu per “il professore” Gren e per l’affidabile mediano Larsen, ma all’orizzonte già lampeggiavano i bagliori di un imminente Abbadie.
Andò via anche il centravanti brasiliano Marinho Di Pietro, che avrà avuto anche le “mani pulite”, ma con i piedi era un mezzo disastro e si segnalò solo per due goal nel derby.
Tra l’altro arrivò per errore: il Preziosi di allora voleva comprare il fenomeno nero Maurinho ma, per un disguido, se lo ritrovò bianco e grammo, ed è un po’ come se oggi si ingaggiasse il Tiago della Juve invece di Thiago Motta.
A Firenze non gradirono quell’inattesa sconfitta e, anello dopo anello, la catena dei dispetti cominciò ad allungarsi fino ai giorni nostri.
Nel 58, in casa loro, subimmo un’umiliante sconfitta per 7-1. Poi una serie di botta e risposta.
Nel 63 ci fu l’apoteosi di Meroni, che sbeffeggiò Albertosi con due reti straordinarie, mostrate all’Italia intera nella classica registrazione domenicale delle ore 19: tutti i Genoani corsero a casa per rivederle, e per godere ancora.
L’anno prima… 5-0 per loro.
Nel 65 a Marassi, ancora nell’ultima di campionato, ci fu un rotondo 4-1 per noi, ma nell’andata… un altro 5-0 per loro.
Nel 77, finalmente, riusciamo a violare i Viola: 2-1 a Firenze, con reti di Pruzzo e Arcoleo.
Nel 78, ancora all’ultima giornata, il perfido 0-0 che ci manda in B per un goal nella differenza reti, e proprio a vantaggio della Fiorentina, tremenda anteprima del recente accesso alla Champions negato per lo stesso motivo.
Nell’81 la drammatica uscita di Martina e il Prof. Gatto che salva il cuore di Antognoni.
Nel 95 il tragico spareggio con il Padova, sostenuto da una Firenze ostile, piovosa e diciamolo… anche un po’ stronza.
Infine il 2009, con un assurdo 3-3 dopo una partita già vinta e poi smarrita al 94° tra gli sbuffi di un fischietto inquietante.
E la storia si chiude, per ora, con il pullman dei Viola che travolge e passa sopra a un Genoano, miracolosamente salvo, ma l’involontaria vicenda può essere l’icona di una tensione latente che ogni volta trova spunti per rinnovarsi.
Fare le scarpe a Della Valle sarebbe il massimo, anche perché la sua ostentata verginità calcistica è un falso clamoroso.
A proposito: cosa ci fa il giglio (simbolo della purezza) sulle maglie della Florentia, dopo una promozione regalata per meriti sportivi e una salvezza comprata con l’intercessione di Moggi?
Contributo di Nemesis pubblicato su grifoni.org in data 26/10/2009 in occasione di Genoa-Fiorentina