Se ai progetti e alle ambizioni del Genoa servisse un modello efficace, e soprattutto compiuto, varrebbe la pena ispirarsi al Cagliari dello scudetto.
Fu un evento clamoroso e inimmaginabile per una “provinciale” che osò inserirsi nell’egemonia Milano-Torino, fino ad allora (nel dopoguerra) violata solo dalla Fiorentina nel 56 e dal Bologna nel 64.
Certo, erano altri tempi, e sulla schedina le 4 grandi non erano ancora le “fisse” sicure di oggi, erano solo “probabili”; anche la marcatura sugli “intrusi” non era così asfissiante ma, se le Tv contavano meno, Allodi faceva già il Moggi, il piduista Franchi istruiva Carraro, e gli arbitri della doppia “elle” (Sbardella, Gonella, Lo Bello ecc) non sfuggivano alla sudditanza trasformandola in norditanza.
Il nostro caro Genoa rifletta su alcune assonanze sarde e, come un diapason, cominci a vibrare se si riconosce in certe note.
Quel Cagliari disegnò una parabola perfetta e dopo anni di tormenti fra B e C, dopo lo spareggio per la A perso con la Pro Patria nel 1954, incontrò sulla sua strada Sandokan Silvestri (dice niente?) che lo guidò alla massima serie nel 64 centrando all’esordio un incredibile sesto posto.
Nel 68/69 arrivò secondo ma, fra tutti gli addetti, prevalse l’idea che la Fiorentina gli avesse sottratto il titolo che avrebbe meritato.
Finalmente nel 69/70 arrivò lo scudetto, sacrosanto, che andava oltre la vittoria sportiva e segnava la rivalsa di un popolo che, con la fionda di David, sconfiggeva Golia.
Per la verità, quella fionda si chiamava Gigi Riva, e non era l’ometto insignificante che oggi bruca tra i pascoli della nazionale.
Era “Rombo di Tuono”, la materializzazione della potenza e dell’efficacia, il giustiziere dei ladri di cavalli, l’eroe buono che non tradisce i sardi e sbatte il “gran rifiuto” in faccia ai miliardi di Moratti Senior, di Fraizzoli e, per la par condicio, anche di Agnelli.
La leggenda racconta che, per godersi le sue imprese, perfino il bandito Mesina, l’ultralatitante Grazianeddu, scendesse dalla Barbagia all’Amsicora, e pare che diversi pregiudicati siano stati arrestati proprio allo stadio: non lui, che inviò una cartolina a Gianni Brera per ringraziarlo di come trattava il Cagliari.
Dopo quel trionfo, un 7° posto, poi un 4°, un 8° e un 10°: insomma, il lento e inevitabile ridimensionamento fino alla retrocessione del 75/76.
Nell’anno del secondo posto la coppia-goal era Riva (21 reti) e Boninsegna (9 reti) ma, per costruire lo scudetto, la società preferì vendere quest’ultimo all’Inter: erano entrambi mancini, egoisti, spesso litigiosi, e Bonimba si prese anche 11 giornate di squalifica in una botta sola.
In cambio arrivarono Domenghini, Gori e Poli, e il baratto fu azzeccato in pieno.
Il Gasperini di quel Cagliari era Manlio Scopigno, detto il filosofo, simile al nostro per competenza tecnica e sagacia tattica, ma immensamente superiore per l’umanità dei rapporti, per la raffinata cultura e per l’apparente disincanto con cui sdrammatizzava le situazioni critiche.
In più non disdegnava whisky e sigarette, e i giocatori si adeguavano con piacere.
Rubinho era Albertosi, assai meno mistico e ben più edonista, ma senza confronto tra i pali e nelle uscite… e anche nei rinvii.
Il Ferrari poteva essere Cera, una specie di Milanetto che Scopigno s’inventò “libero” per l’infortunio del titolare Tomasini, e che fece così bene da meritare la Nazionale ai mondiali del Messico.
Sculli era Domenghini, un esterno che spadroneggiava la fascia segnando anche 8 reti, e penso che per avere uno così Gasperini venderebbe anche la madre… ma non Sculli.
Thiago Motta… e mi scuso per l’ardire, cercò di esserlo Ricciotti Greatti, a cui gli ingrati genitori regalarono il fardello di un nome improponibile. Era lui che teneva insieme la squadra e, benché sottovalutato, aveva grande tecnica, ottima corsa e una visione impareggiabile, tale da suscitare l’accanito interesse della Juve.
Milito, pur con caratteristiche tecniche opposte, si può riconoscere in Riva, come finalizzatore di ogni azione e come simbolo del goal. Per due volte si ruppe una gamba e in entrambe riuscì a risorgere, e il suo occasionale marcatore passava sempre una pessima domenica-notte, con quel Giggirriva che gli faceva goal perfino nei sogni, di testa, al volo, in rovesciata, da lontano e di rapina.
L’agilità di Gori somigliava a quella di Palladino e l’imprevedibilità di Nenè a quella di Jankovic, ma per fortuna il Genoa non ha in squadra il clone di Comunardo Niccolai (altri genitori spiritosi), il più grande autogoleador della storia. Di lui, Scopigno dirà: “mi sarei aspettato di tutto dalla vita, ma non di vedere Niccolai in mondovisione”.
Eppure, l’aneddoto più sfizioso non riguarda un’autorete, ma solo un tentativo non riuscito.
Al 90° il Cagliari sta vincendo 2-1 a Catanzaro. Un attaccante giallorosso cade in area e la palla arriva a Niccolai, appostato fuori area. Dagli spalti si ode un fischio e Comunardo pensa che Lo Bello abbia decretato il rigore, ma non è vero. Stizzito, reagisce tirando una sventola nella sua porta e costringe un compagno a deviare con le mani: rigore e inevitabile pareggio. Roba da Gialappa’s.
Ci sarebbe anche da accostare Biava a Martiradonna, ma visto che siamo in zona 8 marzo, meglio lasciar perdere la provocazione insita nel suo cognome. Tra l’altro, Bernardini l’aveva già avvertito: “con un nome così non potrai mai andare in nazionale”.
Solo per la cronaca, e giusto per dare una dimensione al tempo, mentre il Cagliari vinceva lo scudetto il Genoa precipitava in serie C, desideroso di giocarsi ben 8 derby con Entella, Spezia, Savona e Imperia: li vincerà tutti tranne la trasferta (si fa per dire) di Imperia.
Ecco spiegato perché le due squadre rossoblu, in serie A, s’incontrarono poche volte, cominciando nel 1964/65: 1-1 al Ferraris, Riva e Zigoni, e prima sconfitta in Sardegna con il solito rigore del solito Lo Bello.
Nel 1973/74, ancora 1-1 a Genova e, incredibile a dirsi, prima e ultima vittoria laggiù: un goal di Simoni al 2° minuto scandisce l’evento, per ora esemplare unico, ma la legge dei grandi numeri incombe e ci fa sperare. Piccola nota: sulla panchina del Genoa c’era l’ex Silvestri.
Da lì in poi il bilancio si farà sconsolante per noi, e il totale decreta una maledizione: a Cagliari 20 incontri, 1 vittoria, 6 pareggi e 13 sconfitte, alcune delle quali firmate da grandi arbitri… Bergamo & Pairetto su tutti, ma anche Castellani e D’elia (il boia del S.Elia)… oppure scandite dalle maniacali segnature di Francescoli e Suazo.
La novità di oggi è che il Genoa si presenterà con una difesa di 65 anni e 4 mesi in 3, più o meno l’età del solo Maldini, e al Nuovo Cinema S.Elia si proietterà il film… “Non è un paese per vecchi”.
Milanetto sarà chiamato a interpretare il copione di Motta e, al contrario degli attori, si spera che reciti con i piedi.
Per Milito invece, si confida che voglia anticipare la Pasqua di resurrezione, con sorpresa dentro l’uovo.
Sabato non ci sarà nessuna Caralis in rotta per la Sardegna perché, il facile giochino dei divieti, ancora una volta impone la “curva Sky” a tutti i trasfertisti.
Il mistero del quarto posto è il giallo del momento: continua a sfornare colpi di scena e anche il Genoa è in lista d’attesa.
Ha preso il suo bel numerino e aspetta, sperando che i soliti raccomandati non gli passino avanti.
Nella coda si cazzeggia e si chiacchiera, e il genovese si mischia al toscano e al romanesco, anche perché ora c’è pure la Lazio, favorita dal fatto di aver già subìto e superato la crisi stagionale, che tocca a tutti come l’influenza. Speriamo che il vaccino dello staff funzioni.
Il Genoa è condannato a vincere, o almeno a provarci sempre, perché il pareggino è come il poster di una bella donna: ti piace, la guardi, l’ammiri, ma non ci combini nulla.
La regola dei 3 punti invita all’ebbrezza e, non so voi, ma io preferisco anche una sola bottiglia di Amarone rispetto a 3 cartoni di Tavernello e, dopo aver tentato, nessuno (spero) frignerà se dovessimo sbronzarci con la Ferrarelle.
Anche perché, dopo i tanti complimenti, dopo il bel gioco e la palla a terra, dopo la personalità in campo e lo stile fuori dal campo, sarebbe un peccato che della Champions ci restasse solo la voglia.
Mi torna in mente l’exploit di un caro amico che, cenando in un ristorante di gran classe, si trovò davanti un piatto ben guarnito ma con solo tre ravioli dentro. Fingendo la gag dell’assaggio, urlò al cameriere: “sono cotti, portate pure gli altri!”.
Quindi, signor Gasperini, ci provi, perché qui l’appetito non manca.
Contributo di Nemesis pubblicato su grifoni.org in data 11/03/2009 in occasione di Cagliari-Genoa