Festa circense della liberazione

Per noi italiani la liberazione è spesso sinonimo di America.
Un po’ il contrario di quanto lo è per gli afghani, per dire.
La liberazione è una festa e poco importa l’incertezza del futuro, chi governerà e verso quale forma di libertà o meno si andrà a sbattere le corna.

Intanto si guarda al presente con sollievo, ci si volge indietro e si lanciano gli ultimi conati di vomito ad anni duri che sembravano interminabili e per il resto ci si abbraccia e si salta come scemi.
Liberazione.
Quando ciò è successo ai massimi livelli ed il film dell’orrore del passato riavvolgeva scene raccapriccianti, scie di morti, deportazioni, torture, prigioni, si arrivava al gusto necessario della vendetta, ad impiccare gli artefici di anni di oscurantismo.
Infine si sfilava inneggiando alla pace con i propri figli in spalla e si faceva a gara per salire sui carroarmati d’oltreoceano.
Ah, ci fossero stati i selfie allora…
Dall’America arrivò poi la legge sul divorzio, e anche quella fu una liberazione per molti.
Arrivarono anche l’edonismo e gli anni Ottanta, segno che non tutte le liberazioni hanno il buco come i donuts, ma solo lo stucchevole sapore dolciastro dello sciroppo d’acero.
Libertà obbligatoria, come diceva qualcuno.
E’ come se fosse stato già scritto che Il Grifone, emblema del calcio italiano, dovesse essere liberato dagli yankee.
Che il quasi ventennio di scene raccapriccianti, scie di plusvalenze, deportazioni di campioni appena arrivati, torture inflitte da valigette e licenze uefa e prigioni mentali che cercavano di minare la nostra passione, non finisse con l’ecatombe totale di una cancellazione ma con il saluto festante ai liberatori, una ritrovata pace nel cuore e un metaforico piazzale Loreto nel fegato e nel sistema nervoso.
Il nostro 25 aprile è un 25 settembre, d’altronde tutto iniziò a settembre.
I giovani marines Steve, Josh, Juan e Andrés dal fondo del loro carroarmato finanziario hanno lanciato biglietti dello stadio come nel 1945 i loro nonni lanciavano sigarette e chewing gum.
Il futuro non è più quello di una volta ma almeno si può tornare a sognare senza svegliarsi con la bocca impastata bofonchiando come un presuntuoso ignorante self-merd-man che striscia le “esse” e a settant’anni non sa ancora pronunciare la parola “ciogattolo”.
Liberazione! Festa!
Toh, c’è anche una partita, ma sappiamo già che non sarà una partita di calcio.
Ironia della sorte, al nostro 25 aprile sono stati invitati i fascisti veronesi.
Questi americani 777 sono proprio dei signori, pensa che hanno lasciato anche un 71 in consiglio di amministrazione e uno zerbino nell’ufficio di Villa Rostan.
Alla sfilata in piazza partecipano undici reduci della Repubblica di Salasso: In porta c’è Sal, in difesa il giovane Andrew, l’esperto Nick, il battagliero David e capitan Dom. A centrocampo Miles con l’altro Nick e più avanzati Yahoo, Philip e Mojo. Davanti il solito Matt.
Chissà se sono solo frastornati dall’euforia generale, svuotati dal sollievo come gran parte dei tifosi o semplicemente inadeguati come l’ultima campagna d’agosto. Fatto sta che la prima frazione di gioco è uno spettacolo che non ha niente a che fare con l’atmosfera che si respira.
Normale che i pragmatici sovranisti di Tudor ne approfittino, facendo il minimo indispensabile per non sfigurare alla parata militare. Tocca ad una delle plusvalenze del quasi ventennio ricordare che la strada dopo il buio di valori ed il vuoto morale sarà in salita come la strada da Montgomery, Alabama ai monti Appalachi.
C’è poi il secondo tempo, niente a che vedere con lo sport che siamo abituati a considerare.
E’ qualcosa di “very american style”, che sta al calcio come il wrestling sta al pugilato.
Una sarabanda di errori marchiani, piroette, pestoni, piazzamenti a casaccio, campanili, sberleffi, piaceri e Doveri, praterie dove Bufalo Bill avrebbe inscenato il suo circo per prepararsi alla bizzarra, caleidoscopica e un po’ patetica tournée europea.
Si va sotto di due come Buster Keaton quando finge la resa e mentre lo sfidante si trastulla sgambettando garrulo verso la platea, ecco i fendenti sconclusionati che sortiscono un rigore, un colpo di nuca e addirittura un coniglio dal cilindro del conclamato cocker del Tennessee, il fantastico Matt Righteous.
Capovolgimento, colpo di scena con i fratelli Marx senza baffi in tribuna che si esaltano come fosse “A day at the race”.
“What a cazz of sport is quest?” si chiedono.
Ci pensa uno che ha giocato a soccer, un tempo e ha un naso da film francese a riportare tutti alla realtà delle cose giuste, a ricordare che c’è un passato prossimo da schifare per ripartire in una dimensione meno tragicomica.
Godiamoci il pareggio perché la liberazione ha sempre un prezzo e per una liberazione come questa, di cui portiamo ancora le ferite e ce le rimiriamo come i tatuaggi dei nostri comici spaventati guerrieri in campo o come sorrisi di pescatori di stelle che giacciono in fondo al mare nostrum, è davvero il minimo.
La festa è festa, al cricket and football club ci penseremo da domani.

Contributo di Freddie Beccioni pubblicato su grifoni.org in data 25/09/2021 in occasioned di Genoa-Verona