Primo punto a Roma: revolution!

Solo a voler nominare la parola “rivoluzione” ci si dovrebbe prima sciacquare la bocca nel vino tinto, poi i piedi nella fontana di Plaza della Constitucion a Santiago del Cile e infine le palle nelle torbide acque del Rio Grande nella foresta boliviana.
Il tutto col sottofondo di un pezzo dei Clash o degli Stormy Six.

Bando alle ciance e chance alle bande (giornalistiche) di paese che hanno magnificato l’ennesimo Grifone estivo (Ctrl+C) a beneficio di tifosi distratti da mill’altre facezie che in epoca di rincoglionitismo mediatico sono corsi come ogni anno a rinnovare l’abbonamento per la decima stagione della serie “Una vita in purgatorio” (Ctrl+V): eccoci ai blocchi, anche mentali, di partenza.
Che poi quest’anno il Comandante Enrique El Mierda non è che abbia rivoluzionato più di tanto, se è vero che nell’accogliente Ciudad de Baches y Ratones ci presentiamo con sei soldati dell’Armata Brancaleone dello scorso anno più l’enfant du pays Ghiglione, portato come Pinamonti dal Luogotenente Esteban Cabeza de Calabaza.
Campagne di agosto o di gennaio, El Comandante da quando ha in mano la truppa non ha mai beccato un punto all’Olimpico e il lupo d’estate perde il pelo, ma difficilmente i vizietti.
E allora salutiamo questo pirotecnico pareggio dopo tredici sconfitte e qualche operazione stile banda della Magliana.
Ma la vita è adesso come canta un romano elegante come Fonseca e di soli due anni più vecchio di Andreazzoli ma rifatto più del modulo del Grifone.
Sì, perché il 352 di nonno Aurelio è dinamico e se non fosse per il poco filtro a centrocampo e la staticità dei tre dietro, molto più affascinante di quelli del trio Zio Balla, Genero Juric e Lontano Parente Prandelli.
Dopo cinque minuti siamo sotto: Criscito e Zapata, più vecchi di Baglioni in due, saltati come birilli da Under e Radu incolpevole.
Eppur il Genoa si muove. Pinamonti sembra più predestinato di Destro, Kouamé litiga col pallone più di Conte con Salvini e si sbatte come Zingaretti con il suo Comitato Centrale, Radovanovic è inguardabile e inutile come il Jova Beach Party, Lasse è attivo più di un lassativo e Lerager fa filtro come una Gitanes.
Sulle fasce Ghiglione è ancora piccolo ma crescerà come le tettine della Silvia di Vasco Rossi e Barreca è in barrique ma andato come un Marsala dopo 24 anni di stagionatura.
La fortuna è avere contro la coppia di legno Fazio-Juan Jesus: Lerager si può permettere di lasciare palla in mezzo all’area al gioiellino comprato per finta ed è il pareggio.
Se più avanti non ci fosse un altro smarrimento della difesa, schierata contro l’altro legno, bosniaco (Ghiglione, Zapata e Romero presi in infilata manco fosse Mbappe), non avremmo da ringraziare  ancora una volta Gianni Gesù, che si trasforma in falciatrice a cottimo e regala un rigore che Mimmo trasforma con un po’ di suspance.
Il registro nella seconda frazione non cambia, la Roma schiaccia nei primi dieci minuti e i rossoblu sono sorprendentemente vuoti come una tomba del cimitero teutonico.
Calvarese è simpatico nel concedere un paio di falli a Kolarov, e già il primo va in porto con traversa piena e goal line tecnology. Sembra la quattordicesima beffa, ma il Grifone di quest’anno ci abituerà (sempre se nonno Aurelio non verrà definito scarso dopo una decina di giornate) a grandi imbarcate e qualche bella sorpresa. Una di queste si materializza nella città eterna e con la squadra eternamente gaglioffa: cross dell’enfant du pays e tuffo di Christian Cento Milioni (e tanti polmoncini). E’il 3-3 che reggerà fino alla fine.
La Roma forse potrà migliorare dietro con Mancini e Rugani, ma sono stracazzi suoi e non sembra gran cosa, per il Grifone è ancora l’estate di Lione e di Bordeaux, in attesa degli ultimi fuochi del Comandante. Perchè la revolution è sempre la revolution.
E gli stronzi restano sempre stronzi.

Contributo di Freddie Beccioni pubblicato su grifoni.org il 25/08/2019 in occasione di Roma-Genoa